_____
(dal Don Chisciotte di Cervantes, capitolo XV, seconda parte; trad. Vittorio Bodini, ed. Einaudi)
- Non c'è dubbio, signor Sansone Carrasco, che abbiamo avuto quel che ci meritavamo; immaginare qualcosa e incominciarla, è facile; ma quasi sempre ciò che è difficile è uscirne. Don Chisciotte è il pazzo e noi i savi, ma lui se ne va sano e se la ride, e lei rimane qui pesto e rammaricato. Vediamo, dunque, ora, chi è più matto: chi lo è perché non può fare altrimenti o quello che lo è di sua volontà?
Al che rispose Sansone:
- La differenza che c'è fra i due pazzi è che chi lo è per forza lo sarà sempre, e chi lo è di sua volontà cesserà di esserlo quando vuole.
- Se è cosí - disse Tommaso Cecial -, io sono stato pazzo di mia volontà quando ho voluto farmi scudiero della signoria vostra, e per la medesima voglio cessarlo di essere e tornarmene a casa mia.
- Questo riguarda voi - rispose Sansone -; perché pensare che io debba far ritorno alla mia senza aver prima rotto le ossa a bastonate a Don Chisciotte è pensare una cosa assurda; e ora a cercarlo non mi guiderà la speranza che lui riacquisti il giudizio, ma quello della mia vendetta; perché il gran dolore che ho alle costole non mi permette piú di fare pietosi ragionamenti.
Di questo andarono ragionando tutt'e due, finché non arrivarono a un paese dove volle la fortuna che trovassero un algebrista
(1), da cui si fece curare lo sfortunato Sansone. Tommaso Cecial se ne tornò via, lasciandolo, e lui restò a figurarsi la propria vendetta, e la storia tornerà a parlare di lui a suo tempo, per non cessare frattanto di divertirsi con Don Chisciotte.
(1) Se la chirurgia era la branca piú vile della medicina, l'algebra lo era della chirurgia: era quella parte di essa che serviva a accomodare ossa rotte o slogate, e a queste occupazioni solitamente si dedicava gente rozza e donnicciole ignoranti.
--
ClaudiaMalvenuto - 03 Oct 2012