Un virus come opera d'arte
Biennale.py è il virus
presentato il 6 giugno 2001 nel padiglione sloveno della quarantanovesima
Biennale di Venezia, dai gruppi
0100101110101101.org ed epidemiC.
Il virus, definito come "un' opera d'arte e un virus informatico" mette il
dito su una doppia rimozione.
Da un lato la lunga rimozione sociale della
creatività insita nel mestiere di scrivere codice.
Dall'altro la rimozione tecnica dei virus dagli hard
disk, figlia dell'incapacità di distinguere tra ciò
che è effettivamente dannoso e ciò che intende
semplicemente replicarsi.
L'azione, propagandata dai maestri della
provocazione come 01.org, e messa a punto da
un neonato collettivo di programmatori e
ricercatori milanesi, schiude una riflessione su
cosa sia la vera arte digitale.
Rispetto alla cultura
dell'effetto speciale, il virus Biennale.py - scritto
in Phyton, un linguaggio di programmazione
multipiattaforma, sempre più usato nei server - si
presenta infatti come un semplice testo. In grado
però di dire e rivelare molto più di quanto non
faccia un'animazione in Flash, opaca e
inaccessibile nei suoi elementi costitutivi. Il virus
è infatti - come spiegano Massimo Cerronato e
Luca Lampo nell' intervista condotta da RAI.it - una sorta
di macchina che prima si legge da sola, e poi si
scrive nel corpo di un ospite.
All'interno del Padiglione della Repubblica di Slovenia è stato possibile per i numerosi partecipanti leggere il codice sorgente di "biennale.py" e testarne il funzionamento su un computer infettato. Durante i giorni d'apertura della Biennale, inoltre, sono state distribuite migliaia di tshirt con stampato il codice sorgente del programma.
"Paradossalmente - avverte il comunicato - proprio come i virus biologici, biennale.py si diffonderà non soltanto attraverso le macchine, ma anche attraverso gli uomini".
( Rai - Smartweb )
Interviste
Rai - Smart Web, nel giugno 2001, ha condotto un in' intervista ai due gruppi creatori di Biennale.py.
Si riporta l' intervista al gruppo
EpidemicC
Puoi spiegarci cos'è e come funziona Biennale.py?
Massimo Ferronato: Biennale.py è il virus che
abbiamo esposto durante la 49esima esposizione
della biennale di Venezia, una nostra
provocazione intesa a mostrare ai non addetti ai
lavori la tecnica utilizzata per creare virus. In
realtà si tratta soprattutto di un esperimento
estetico per dimostrare la nostra capacità di
creare bellezza utilizzando il codice di
programmazione. Contrariamente a un romanzo
si comincia a leggerlo dal fondo: la parte
principale sviluppa l’esecuzione della procedura.
Le parole che potete comprendere (indica il lungo
foglio appeso al muro) sono quelle che noi
chiamiamo variabili o funzioni, che possiamo
impostare a nostro piacimento. Esistono altre
parole che noi chiamiamo "parole chiave": queste
sono fisse, imposte dal linguaggio e non possono
essere modificate.
Le parti principali sono: la prima parte, in cui il
virus acquisisce la conoscenza di sé stesso
“leggendosi”, quindi importandosi
automaticamente e caricandosi in una variabile,
in un contenitore che si chiama my body. Join è
invece la partenza vera e propria della ricerca e
permette l’esecuzione di questo segmento di
codice (indica il foglio). Se è un programma
Python, quindi adatto ad essere modificato,
eseguiamo quello che abbiamo chiamato
fornicate. Fornicate è la parte del codice dove
effettivamente eseguiamo la contaminazione.
Reimpostando le variabili a vostro piacimento avete creato una sorta di storia, di racconto che può essere letto anche dai non addetti ai lavori. A quale scopo?
MF: Qualsiasi buon programmatore tende ad
associare alle parti variabili di un programma un
contenuto che sia comprensibile a un altro
programmatore. Nel nostro caso si può parlare di
narrativa, perché letto in maniera informatica si
può vedere la partecipazione del programma a
una festa. Lo abbiamo chiamato party. Quindi
abbiamo un join party, la creazione della lista
degli ospiti della festa e la loro selezione. C'è poi
una chiacchierata con gli ospiti selezionati, che
porta alla scelta dell’ospite che ci interessa
particolarmente, quello da contaminare. Nel
nostro caso avremo l’accoppiamento, il fornicate.
Tutti i virus contengono una scrittura narrativa di questo tipo?
MF: Assolutamente no. I virus nella maggior
parte dei casi sono scritti usando un linguaggio
che si chiama assembler, un linguaggio di
bassissimo profilo che non consente l’utilizzo di
variabili così romanzesche, trattandosi di codici
totalmente incomprensibili alla maggior parte dei
programmatori. L’utilizzo del linguaggio Python è
una scelta anche in questo senso. Il problema è
che non sarebbe stato percepito secondo noi un
programma assembler su un cartellone. Un
programma Python svolge una funzione più
artistica, soprattutto nel vostro senso, di
"artistico".
Il nostro scopo è di attirare l’attenzione su un
fatto che per noi del mondo dell’informatica e che
per alcuni del mondo dell’arte è clamoroso:
abbiamo avuto 50 anni di evoluzione tecnologica
di persone che utilizzavano le loro capacità
intellettuali per sviluppare codice e in nessun
caso è stata riconosciuta a questo tipo di attività
un valore artistico. Noi vogliamo demolire questo
concetto, vogliamo portare all’attenzione del
mondo che esiste una capacità intellettuale, una
produzione artistica, utilizzando strumenti
informatici quali il linguaggio di programmazione.
Perché avete scelto di proporre il codice sorgente del virus come forma estetica e non quello di un qualsiasi programma?
Luca Campo: Si parla spesso di arte, computer e
per la maggior parte dei casi si finisce a vedere
operazioni di grafica: questa, noi di Epidemic, la
consideriamo arte digitale nativa, nativa perché è
il computer, questo è il linguaggio con cui si
dialoga col computer senza interpreti. L’altra sera
(durante l'inaugurazione della Biennale, ndr) un
critico d’arte, guardando il codice stampato su
questa maglietta (quella che ha indosso) ha
detto: "è molto triste, sembra un computer di
trent'anni fa". Ovviamente non sapeva che le
finestre che usa tutti i giorni possono essere
visualizzate grazie a stringhe di questo genere. Il
virus è stata una scelta quasi tattica, perché il
virus è quella cosa che assomiglia di più all’arte.
E' un programma assolutamente inutile, è un
programma in cui il programmatore non sta
facendo un software aziendale, sta giocando con
se stesso e con la macchina. E questo assomiglia
molto a tutte le pratiche artistiche.
- Sorgente di Biennale.py:
- Tshirt Biennale.py:
Links
http://www.rai.it/RAInet/smartweb/cda/articolo/sw_articolo/0,2791,129^310,00.html
--
MarianaG - 27 May 2007